Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

giovedì 28 febbraio 2013

Flores Centrale: il simbolismo e l’estetica sociale Ngada



                Il villaggio è chiamato nua ed è l’insieme omogeneo di più entità sociali o clan, chiamati Woé. Ogni woé discende da coppie di antenati i cui simboli sono ngadhu e bhaga. Ad ogni coppia di ngadhu e bhaga corrisponde una coppia di case dette rispettivamente, sa’o pu’u e sa’o lobo. Sul colmo dei tetti di queste case stanno delle effigi che ne facilitano immediatamente l’identificazione: una casetta in miniatura, o ana ié, e una figurina umana stilizzata, o ata. La coppia di simulacri ancestrali ngadhu/bhaga segue una simbologia di genere evidente con il palo coperto da un ombrello di foglie e una punta rivestita di fibre di palma il primo, e una casetta la seconda.

                La casa Ngada è formata da uno spazio chiuso ad esclusivo uso della famiglia e parenti, la oné sa’o, in cui vi sono zone dove siedono i maschi influenti (mosa laki) e le femmine con i figli (papa bhoko), oltre ad uno spazio chiuso che è zona esclusiva femminile, il focolare o lapu (con le tre pietre per cucinare, lika).
A questa camera interna si accede attraverso una soglia chiusa da una porta scorrevole e protetta da un pannello sagomato in modo da rappresentare l’organo riproduttivo femminile, o tolo péna. La facciata di questa camera e il pannello frontale sono le parti più estesamente decorate. Davanti alla oné sa’o c’è una veranda spaziosa, la teda on’è, che può essere sia chiusa da pannelli che completamente aperta. Qui i famigliari vivono per la più parte del tempo. Davanti ad essa c’è un’altra veranda aperta dove si fermano e si intrattengono gli ospiti, la téda Wewa. A questa veranda esterna si accede dal terreno antistante per mezzo di un gradone largo quanto la facciata della casa, il ture sa’o. Anche il fronte di questo gradone viene spesso istoriato ed abbellito con disegni geometrici e di animali, spesso cavalli simmetrici, con in groppa un cavaliere armato di lancia, e, al centro in corrispondenza dell’asse di simmetria, un palco di bufalo.

                Ogni ngadhu possiede due ramificazioni e tre radici. Le due ramificazioni stanno come braccia spalancate e racchiudono un volto con orecchie tonde. Sono il simbolo del dio ancestrale che tutto vede e veglia dall’estremità lobo del cosmo. Il palo, completamente intagliato con il simbolo detto légé neka, delle spirali senza fine, è diviso in tre sezioni sovrapposte che rappresentano le tre caste in cui è divisa la società ngada: ga’é meze, l’elite, ga’é kisa, le persone comuni e azi ana, gli schiavi. Con l’avvento del cattolicesimo, le tre sezioni rappresentano la trinità. Spesso il palo è rivestito interamente con strati su strati di una sostanza che sembra catrame, nera e rugosa. In realtà è sangue sacrificale di bufalo mescolato alla terra in cui il palo è infisso e alle ceneri del focolare interno alla casa.  Le tre radici invece sono associate a tre animali, la cui presenza nel villaggio è il fondamento della sopravvivenza stessa degli ngada: il pollo, il maiale e il cane. In occasione della messa dimora di un nuovo ngadhu, i tre animali sono legati ad una specifica “radice”ed interrati vivi. La radice rivolta ad est ha legato un pollo rosso, quella a nord ovest (barat laut) un maiale dal pelo rosso e quella a sud ovest (barat daya) un cane dal pelo rosso. La buca di interramento viene riempita sul fondo con riso rosso misto a pietre e pula di riso e, più su, solo pietre e pula.
                Quando il nuovo ngadhu deve entrare nel villaggio questo avviene in modo rituale, sottoforma di una penetrazione simbolica di un determinato clan o woé. Lo ngadhu è trasportato da un gruppo di uomini entro una gabbia di bambù, adagiato in orizzontale. La parte pu’ù, delle tre radici, è quella che entra per prima, è il tronco, l’origine e si riferisce all’idea che la donna è la genesi di tutto il clan, il suo corpo da la vita. Seconda entra la parte lobo con i due rami, la punta, l’apice, la progenie. Seduti a cavallo del palo, sopra le corrispondenti estremità, stanno i due anziani capi famiglia delle due parti del woé interessato alla cerimonia. In tal modo si rappresenta una fecondazione del villaggio, una iniezione di spirito nuovo, di nuove genti, di nuovi propostiti condivisi. Allo stesso tempo si certifica e si tramanda la divisione tradizionale del woé in pu’ù e lobo, due facce della stessa medaglia, ognuna indispensabile all’altra.

                La casa sa’o meze è il centro di ogni gruppo di consanguinei e, occasionalmente, componenti reclutati all’esterno. E’ il loro luogo sacro sia come vero e proprio altare ancestrale sia come luogo di riunione. E’ l’entità collettiva più rilevante, economicamente e ritualmente, della società ngada. I membri di una sa’o meze coltivano la loro terra, dividono il raccolto, condividono la responsabilità di raccogliere fondi e animali per matrimoni, funerali, nuove case, l’educazione dei figli. In alcune di queste occasioni, quelle rituali, sono aiutati dai legami con gli altri woé del villaggio e di villaggi vicini, che portano animali per il sacrificio in modo ufficiale e ben definito. Tanto che il capofamiglia tiene una contabilità di chi e quando ha portato cosa e in ogni momento, osservando le mascelle di maiale, capra e bufalo e le corna di bufalo appese sotto la tettoia della veranda esterna, egli può dire quali woé hanno legami col proprio e di quale entità.

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