Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

lunedì 28 novembre 2011

Mbaru Niang, un’architettura geniale


La Mbaru Niang, la casa tradizionale dei Manggarai di Wae Rebo, ha forma conica con l’apice del tetto arrotondato e abbellito da cuspidi e corna di bufalo poggianti su spire di fibre di palma intrecciate. Ha in genere un’altezza di 15 m e un diametro al suolo di 15 m. L’alto spazio interno è suddiviso in cinque piani, diversi per funzione e tipologia costruttiva. Blasius, col quale condivido la colazione in questa limpida mattina di novembre, mi guida in una breve descrizione delle parti della casa.

Il piano più basso, che si eleva a circa un metro da terra, chiamato lutur, accoglie fino a otto famiglie che si distribuiscono lungo la corona circolare, suddivisa in vari compartimenti da semplici tavole di legno e tende colorate.  Altre zone della corona restano aperte, con pagliericci dove dormono i famigliari non sposati. Lo spazio centrale è organizzato in zone comuni e cucina, ricavata sopra un’area quadrata di terra battuta, che fa da isolante, su cui sono infisse basse pietre usate per sorreggere le pentole. La riserva di legno da ardere è accatastata su una piccola piattaforma appesa sopra lo spazio dei fuochi. La Mbaru Gendang, la Casa dei Tamburi, è più larga delle altre alla base perché conserva gli strumenti musicali, gong e tamburi di varie forme e dimensioni, usati nelle cerimonie, come i cori notturni cantati ininterrottamente in occasione della Penti.

Il secondo piano, detto lobo, funziona da granaio per il consumo quotidiano. Il terzo, lentar, ospita semi e germogli per il nuovo raccolto. Nel quarto livello, lempa rae, si ammassano le riserve alimentari per fronteggiare raccolti andati male o siccità. Sul piano più alto, il quinto o hekang kode, sono conservati i paramenti ed attrezzi per le cerimonie.

Ma lo scopo principale dei cinque piani è di tenere assieme una struttura che ha linee architettoniche e tecniche costruttive sorprendentemente semplici e funzionali. Grande com’è la casa, senza i piani interni, ruoterebbe su se stessa accartocciandosi sotto la forza dei venti che s’incanalano tra questi monti, o dei terremoti così frequenti. La tipologia costruttiva ha la purezza del sapere antico (un anziano mi dice che il villaggio è stato fondato mille anni fa). Linee morbide, essenziali, legni della foresta piegati ad amalgamarsi in una struttura che non trova eguali in tutta l’Indonesia. I due piani più bassi sono rivestiti di assi e travi ben squadrate e levigate, pesanti, di legni (il kayu worok e il kayu moak) molto resistenti e duraturi. Abbassano il baricentro e ancorano al terreno la grande “capanna”.

 I nove pali centrali principali penetrano per un metro e mezzo nella scura terra della radura. La parte sotterranea è avvolta, innovazione recente, in fogli di plastica e fibre di palma intrecciate a proteggerla dai danni derivanti dall’acqua. I restanti tre piani sono graticci di grossi rami di kayu kenti, un legno più flessibile, collegati tra loro da un intreccio di diramazioni inclinate. Conferiscono elasticità alla parte superiore della struttura e, nel contempo, leggerezza oltre a scaricare il peso del tetto in modo uniforme.

Il raccordo tra i piani ed i correnti verticali di bambù, che sorreggono il tetto di foglie di alang-alang e fibre di palma, è fornito da un fascio circolare di rami sottili di kayu kenti. Ognuno dei cinque piani poggia la propria circonferenza su uno di questi anelli, flessibili, elastici, a loro volta legati ai correnti di bambù del tetto da fibre di rattan. Gli anelli tengono il tetto “aperto” e ne mantengono la forma conica.

Gli anziani tramandano oralmente le istruzioni per costruire queste abitazioni che vivono e riaffermano così il saldo rapporto di interdipendenza con la terra e la foresta, madre e padre di questo popolo dei monti.


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